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Counseling Day 2023


 
«Da dieci anni stiamo provando a regolamentare le associazioni professionali. Stiamo parlando di professioni che non hanno alcuna necessità di avere un Albo, che serve soltanto laddove ci siano delle 'riserve' di legge. Ma se tutti possono prestare un determinato servizio professionale, allora l’Albo non ha ragione di esistere».

Giuseppe Lupoi, presidente del Colap, la federazione che raggruppa circa 200 associazioni professionali, chiede un’accelerazione nel riconoscimento del ruolo di garanzia delle associazioni.

Ingegner Lupoi, strano che non vi interessi l’Albo. Da decenni assistiamo ai più svariati tentativi, spesso riusciti, di costituire un albo con una nuova professione.
«La maggior parte delle attività professionali non abbisognano di un Albo per essere esercitate. Se si esclude il medico, l’avvocato, l’architetto e poche altre professioni per le quali esistono riserve di legge, tutte le altre sono libere. Prendiamo la consulenza fiscale: un diplomato in ragioneria, ad esempio, può liberamente prestare servizi in quel settore senza che sia indispensabile che esista un albo di consulenti. Altro esempio: un counselor è una figura che assiste le persone, senza fare però terapia che è una professione protetta».

Ma se le cose stanno così perché serve comunque una regolamentazione per tutte quelle attività, si presume anche nuove e spesso in fieri, che via via emergono?
«Bisogna che questi professionisti garantiscano comunque ai clienti di poter e saper fare certe cose. Per questo serve l’avallo di un’associazione professionale».

In che modo avverrebbe questo avallo?
«Le associazioni devono accertare che a un titolo professionale corrisponda una precisa formazione. Le dirò di più. L’Europa sta creando un mercato comune delle professioni: oggi, a una stessa professione, corrispondono nei vari paesi formazioni molto diverse. È giusto dunque regolamentare questa materia».

E come?
«Si è già cominciato a farlo con la direttiva europea 36/2005 recepita con il decreto legislativo 206/2007. Questo decreto nomina per la prima volta le associazioni professionali. È un primo passo. Ed è andata bene nonostante il ricorso degli Ordini al Tar».

Hanno fatto un ricorso perché non volevano che fossero riconosciute le associazioni?
«Sì, ma hanno perso: il giudice ha detto loro che non sono neppure titolati a fare ricorso. La sentenza è così chiara che gli Ordini non hanno neppure adito il Consiglio di Stato».

Il governo stava cercando di fare una riforma unica delle professioni, ma poi ha deciso di affidare alla Commissione Giustizia la riforma degli ordini e alla commissione Industria quella delle associazioni. Per voi è una sconfitta o una successo?
«È un grande successo! Sono dieci anni che chiediamo un provvedimento solo per le nostre associazioni, ma sino ad ora ci era stato negato. Se ci sarà la volontà politica, la nostra riforma, che è a costo zero, si può fare assai rapidamente: sono pochi articoli e ci sono proposte quasi uguali sia della maggioranza che della opposizione. Peraltro così si capirà chi non vuole la riforma e chi no: appena siamo usciti noi gli ordini professionali hanno cominciato a litigare fra di loro!».

titolo: Perché serve un riconoscimento
autore/curatore: Adriano Bonafede
fonte: La Repubblica
data di pubblicazione: 12/07/2010

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